venerdì 1 marzo 2024

Parola di Vita - Marzo 2024

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal51[50],12).

La frase della Scrittura che ci viene proposta in questo tempo quaresimale fa parte del Salmo 51, laddove, al versetto 12, troviamo la struggente ed umile invocazione: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Il testo che la contiene è noto col nome di “Miserere”.

In esso, lo sguardo dell’autore inizia con l’esplorare i nascondigli dell’anima umana per cogliervi le fibre più profonde, quelle della nostra completa inadeguatezza nei confronti di Dio e, al contempo, dell’insaziabile anelito alla piena comunione con Colui dal quale procede ogni grazia e misericordia.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Il salmo prende spunto da un episodio ben noto della vita di Davide. Egli, chiamato da Dio a prendersi cura del popolo di Israele e a guidarlo sui cammini dell’obbedienza all’Alleanza, trasgredisce la propria missione: dopo aver commesso adulterio con Betsabea ne fa uccidere in battaglia il marito, Uria l’Ittita, ufficiale del suo esercito. Il profeta Natan gli svela la gravità della sua colpa e lo aiuta a riconoscerla. È il momento della confessione del proprio peccato e della riconciliazione con Dio.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Il salmista mette sulla bocca del re invocazioni molto forti ma che sgorgano dal suo profondo pentimento e dalla totale fiducia nel perdono divino: “cancella”, “lavami”, “purificami”. In particolare, nel versetto che ci interessa, usa il verbo “crea” a indicare che la completa liberazione dalle fragilità dell’uomo è possibile unicamente a Dio. È la consapevolezza che solo lui può farci creature nuove dal “cuore puro”, ricolmandoci del suo spirito vivificante, donandoci la vera gioia e trasformando radicalmente il nostro rapporto con Dio (lo “spirito saldo”) e con gli altri esseri viventi, con la natura e il cosmo.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Come mettere in pratica questa parola di vita? Il primo passo sarà quello di riconoscerci peccatori e bisognosi del perdono di Dio, in un atteggiamento di illimitata fiducia nei suoi confronti. Può accadere che i nostri ripetuti errori ci scoraggino, ci chiudano in noi stessi. Occorre allora lasciare socchiusa, almeno un po’, la porta del nostro cuore.

Scrive Chiara Lubich nei primi anni ‘40 a qualcuno che si sentiva incapace di andare oltre le proprie miserie: «Occorre levarsi dall’anima ogni altro pensiero. E credere che Gesù è attirato a noi dall’esposizione umile e confidente ed amorosa dei nostri peccati. Noi, per noi, null’altro abbiamo e facciamo che miserie. Lui, per Lui, a riguardo nostro, non ha che una sola qualità: la Misericordia. L’anima nostra si può unire a Lui soltanto offrendogli in dono, come unico dono, non le proprie virtù ma i propri peccati! […] se Gesù è venuto sulla terra, se s’è fatto uomo, se qualcosa brama […] è soltanto: Far da Salvatore. Far da Medico! Null’altro desidera»(1).

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Poi, una volta liberati e perdonati, e tenendo presente l’aiuto dei fratelli perché la forza del cristiano viene dalla comunità, mettiamoci ad amare concretamente il prossimo chiunque esso sia. «Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, tutto perdona, tipico del cristiano»(2). 

Infine, dice Papa Francesco: «Il perdono di Dio […] è il segno più grande della sua misericordia. Un dono che ogni […] perdonato è chiamato a condividere con ogni fratello e sorella che incontra. Tutti coloro che il Signore ci ha posto accanto, i familiari, gli amici, i colleghi, i parrocchiani… tutti sono, come noi, bisognosi della misericordia di Dio. È bello essere perdonato, ma anche tu, se vuoi essere perdonato, perdona a tua volta. Perdona! […] per essere testimoni del suo perdono, che purifica il cuore e trasforma la vita»(3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

_________________________________________________________________

1 C. Lubich, Lettere 1943-1960, a Cura di F. Gillet, (Opere di Chiara Lubich 4/1), Città Nuova, Roma 2022; p. 350.
2 C. Lubich, Parola di Vita maggio 2002, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5),</em
Città Nuova, Roma 2017, pp. 658-659.
3 FRANCESCO, Udienza Generale, La misericordia cancella il peccato, 30 marzo 2016.

 

giovedì 1 febbraio 2024

Parola di Vita - Febbraio 2024

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore» (1Cor 16,14)1.

Questo mese, come lampada per i nostri passi, (2) ci lasciamo illuminare dalla parola e dall’esperienza dell’apostolo Paolo. Egli annuncia anche a noi, come ai cristiani di Corinto, un messaggio forte: il cuore del Vangelo è la carità, l’agape, l’amore disinteressato tra fratelli.

La nostra Parola di vita fa parte della conclusione di questa lettera, in cui la carità è abbondantemente ricordata e spiegata in tutte le sue sfumature: è paziente, benevola, ama la verità, non cerca il proprio interesse (3) … L’amore reciproco vissuto così nella comunità cristiana, è balsamo per le divisioni che sempre la minacciano e segno di speranza per tutta l’umanità.

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore».

Colpisce che Paolo – nel testo greco – esorti ad agire “essendo nell’amore”, come a indicarci una condizione stabile, un dimorare in Dio, che è Amore. Come potremmo infatti accoglierci reciprocamente ed accogliere ogni persona con questo atteggiamento, se non riconoscendo di essere noi amati da Dio per primi, anche nelle nostre fragilità?

È questa coscienza rinnovata che ci permette di aprirci senza paura agli altri, per comprenderne i bisogni e metterci loro accanto, condividendo risorse materiali e spirituali. Guardiamo come ha fatto Gesù; è lui il nostro modello.

Egli ha sempre donato per primo: “[…] la salute agli ammalati, il perdono ai peccatori, la vita a tutti noi. All’istinto egoista di accaparrare oppone la generosità; all’accentramento sui propri bisogni, l’attenzione all’altro; alla cultura del possesso quella del dare. Non conta se possiamo dare molto o poco. L’importante è il come doniamo, quanto amore mettiamo anche in un piccolo gesto di attenzione verso l’altro. […] È essenziale l’amore, perché sa accostare il prossimo anche solo con un atteggiamento di ascolto, di servizio, di disponibilità. Quanto importante […] è cercare di essere l’amore accanto a ciascuno! Troveremo la via diritta per entrare nel suo cuore e sollevarlo” (4).

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore».

Questa Parola ci insegna ad accostarci agli altri con rispetto, senza falsità, con creatività, dando spazio alle loro migliori aspirazioni, perché ognuno porti il proprio contributo al bene comune.

Ci aiuta a valorizzare ogni occasione concreta della nostra vita quotidiana: “[…] dai lavori di casa o dei campi e dell’officina, al disbrigo delle pratiche d’ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso” (5). Potremmo immaginare un mosaico di Vangelo vissuto nella semplicità.

Due genitori scrivono: “Quando una vicina, angosciata, ci ha detto che suo figlio era in prigione, abbiamo accettato di andare a fargli visita. Abbiamo digiunato il giorno prima di andare, sperando di avere la grazia di dirgli la cosa giusta. Poi abbiamo pagato la cauzione per farlo rilasciare” (6).

Un gruppo di giovani di Buea (Camerun sud-occidentale) ha organizzato una raccolta di beni e di fondi per aiutare gli sfollati interni a causa della guerra in corso (7). Hanno fatto visita a un uomo che ha perso un braccio durante la fuga. Convivere con questa disabilità è diventato per lui una grande sfida, perché le sue abitudini sono cambiate drasticamente. “Ci ha detto che la nostra visita gli ha donato speranza, gioia e fiducia. Ha sentito l’amore di Dio attraverso di noi”, ha raccontato Regina. Aggiunge Marita: “Dopo quest’esperienza, sono davvero convinta che nessun dono sia troppo piccolo se fatto con amore… Non c’è bisogno d’altro: è l’amore che muove il mondo. Sperimentiamolo!”

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita

_________________________________________________________________

1 Per questo mese, la Parola di Vita che proponiamo è la stessa che un gruppo di cristiani di varie Chiese della Germania, ha scelto di vivere lungo tutto l’anno.
2 Cf. Sal 119 [118], 105.
3 Cf. cap. 13
4 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 791-792.
5 Ibid. p. 792.
6 S. Pellegrini, G. Salerno e M. Caporale, Famiglie in azione. Un mosaico di vita, Città Nuova 2022, pp.70-71.
7 testo adattato dal sito https://www.unitedworldproject.org/workshop/camerun-condividere-con-gli-sfollati/.

 

 

lunedì 1 gennaio 2024

Parola di Vita - Gennaio 2024


 «Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10,27).

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (1) offre quest’anno come spunto di riflessione la frase sopracitata che trova la sua origine nell’Antico Testamento (2). Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù viene fermato da un dottore della legge che gli chiede: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?(3).

Si apre così un dialogo e Gesù risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge?”(4), facendo suscitare la risposta all’interlocutore stesso: l’amore per Dio e l’amore per il prossimo nel loro insieme sono considerati la sintesi della Legge e dei Profeti.

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

“E chi è il mio prossimo?”, continua il dottore della legge. Il Maestro risponde raccontando la parabola del buon samaritano. Egli non elenca le varie tipologie di persone che possono rappresentare il prossimo ma descrive l’atteggiamento di profonda compassione che deve animare qualunque nostra azione. Siamo noi stessi che dobbiamo farci “prossimi” degli altri.

La domanda da farci è: “E io, di chi sono prossimo?”. Proprio come ha fatto il samaritano, occorre prenderci cura dei fratelli dei quali conosciamo le necessità, lasciarci coinvolgere fino in fondo nelle situazioni che si presentano senza alcun timore, avere un amore che si preoccupa di aiutare, sostenere, incoraggiare tutti.

Occorre vedere nell’altro un altro sé e fare all’altro quello che si farebbe a sé stessi. È la cosiddetta “regola d’oro” che ritroviamo in tutte le religioni. Gandhi la spiega in modo efficace: “Tu e io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi io stesso”(5).

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

“Se noi rimaniamo indifferenti o rassegnati di fronte alle necessità del nostro prossimo, sia sul piano dei beni materiali come dei beni spirituali, non possiamo dire di amare il prossimo come noi stessi. Non possiamo dire di amarlo come lo ha amato Gesù. In una comunità, la quale voglia ispirarsi all’amore che ci ha insegnato Gesù, non può esserci posto per le disuguaglianze, i dislivelli, le emarginazioni, le trascuratezze. […] Fintanto che noi vediamo nel nostro prossimo l’estraneo, colui che disturba la nostra quiete, che scompiglia i nostri progetti, non potremo dire di amare Dio con tutto il nostro cuore”(6).

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

La vita è quello che ti succede nel momento presente. Accorgerci di chi ti sta accanto, saper ascoltare l’altro può aprire squarci interessanti e mettere in moto iniziative non previste. Così è successo a Victoria:

“In chiesa mi ha colpito la bellissima voce di una donna africana seduta accanto a me. Mi sono congratulata, incoraggiandola a unirsi al coro della parrocchia. Ci fermiamo a parlare. È una religiosa della Guinea Equatoriale di passaggio a Madrid. Nel suo istituto accolgono neonati, bambini e bambine abbandonati, che accompagnano fino all’età adulta attraverso gli studi universitari o insegnando un mestiere. Il laboratorio di sartoria è ben avviato ma le macchine da cucire non sono sufficienti. Mi offro di aiutarla a trovare altre macchine, fidandomi di Gesù, sicura che ci ascoltava e mi spingeva ad amare senza far calcoli. Uno dei miei amici conosce un artigiano, felice di partecipare a questa catena d’amore. Provvede a riparare otto macchine e ne trova anche una per stirare. Una coppia di amici si offre di portarle fino a Madrid, cambiando destinazione ai loro due giorni di vacanza e percorrendo quasi 1000 chilometri. Così, le “macchine della speranza”, attraverso un lungo viaggio via terra e via mare, arrivano fino a Malabo. Dalla Guinea non riescono a crederci! I loro messaggi dicono solo gratitudine!”.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

_________________________________________________________________

1 Essa si celebra in tutto l’emisfero nord dal 18 al 25 gennaio e nell’emisfero sud nella settimana di Pentecoste. I testi della preghiera di quest’anno sono stati preparati da un team ecumenico del Burkina Faso.
2 Cf. Dt 6,4-5 e Lv 19,18.
3 Lc 10,25.
4 Lc 10,26.
5 C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 24.
6 C. Lubich, Parola di Vita di novembre 1985, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 340-341.


  

giovedì 7 dicembre 2023

Il Movimento dei Focolari compie 80 anni




 Si calcola il 7 dicembre come data di nascita del Movimento dei Focolari perché quel giorno del 1943, a Trento, Chiara Lubich ha enunciato il suo "sì" a Dio, impegno perenne a seguire la sua voce. Lei lo considerava uno "sposalizio" ignara che da quello sposalizio sarebbe partita una corrente di spiritualità che cammina sul binario delle parola di Gesù. 

Questa ventata di vita nuova e fresca mi ha raggiunto più di 50 anni fa cambiando la rotta della mia vita, proponendomi un programma senza programma perché avrei potuto camminare assieme ad un Altro. 

Oggi, nell'ottantesimo del "sì" di Chiara, commovente per il suo coraggio e per la misteriosa risposta ad un amore, quel momento mostra la sua potente fecondità nel "sì" di tanti e tanti nei 5 continenti. 

Quando si ricordava il sessantesimo avevo scritto a Chiara una pagina che lei ha definito poesia e mi ha ripetuto più volte che le era piaciuta. La ripropongo per la gratitudine sempre più grande che provo per lei. 


LA SPOSA DI FUOCO

 

Una notte, come questa, sessanta anni fa, nessuno sapeva che in un punto della terra una donna stava correndo al luogo del “sì”. 

Chi era lo sposo? 

Unica testimone, la Chiesa. 

L’abito nuziale aveva il colore della pioggia e del vento.

Lo sposo non aveva un cognome da donare alla sposa: le prometteva un regno nascosto dove il dolore diventa gioia, la tenebra si muta in luce e dove ogni odio sbiadisce al calore dell’amore. 

Nessun invitato, nessuna firma oltre ad una lacrima, nessun pranzo nuziale.

Un diadema, sì, quello c’era: tre gemme rosse, come garofani accesi, stemma della famiglia.

Oggi, milioni di testimoni e invitati festeggiano lo sposalizio segreto. Lo sposo porta alla sposa la lacrima diventata diamante. E lei cosa gli porta?

Ha in mano tre gemme accese la cui fragranza, che va e che viene, inebria i popoli.

Poi apre i suoi occhi e lo sposo vi vede un’acies di fuoco. Nell’universo c’è un fremito: dove la sposa guarda, le ombre si diradano, fuggono, svaniscono e i pezzi sparsi compongono una casa grande come il mondo. 

 

Con immensa gratitudine!

                       Tanino

 

Bratislava, notte 7 dicembre 2003

venerdì 1 dicembre 2023

Parola di Vita - dicembre 2023

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Ts 5,16-18).

Paolo scrive ai Tessalonicesi quando erano ancora vivi molti dei contemporanei di Gesù che lo avevano visto e ascoltato, testimoni della tragedia della sua morte e dello stupore della sua risurrezione e poi della sua ascensione. Riconoscevano l’orma lasciata da Gesù e si aspettavano il suo imminente ritorno. Paolo amava la comunità di Tessalonica, esemplare per la vita, la testimonianza e i frutti e scrive loro questa lettera, scongiurandoli che venga letta a tutti (5,27). In essa annota delle raccomandazioni per mantenersi «imitatori nostri e del Signore» (1,6) e che riassume così:

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi»

Il filo conduttore di queste pressanti esortazioni non è solo il che cosa Dio si aspetta da noi, ma il quando: ininterrottamente, sempre, costantemente. Si può, però, comandare la gioia? Che la vita ci assalga con problemi e preoccupazioni, con sofferenze e angosce, che la realtà sociale si mostri arida e inospitale è esperienza di tutti. Eppure per Paolo c’è una ragione che potrebbe rendere possibile sempre “quella letizia” a cui allude. Egli parla ai cristiani e raccomanda loro di prendere la vita cristiana sul serio perché Gesù possa vivere in loro con quella pienezza promessa dopo la sua risurrezione. A volte possiamo farne l’esperienza: Egli vive in chi ama e chiunque può addentrarsi nella via dell’amore con il distacco da sé, l’amore gratuito verso gli altri, accogliendo il sostegno degli amici, mantenendo viva la fiducia che «l’amore vince tutto» (1).

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

Dialogare tra fedeli di differenti religioni e persone di diverse convinzioni, porta a comprendere ancor più in profondità che pregare è un’azione profondamente umana; la preghiera costruisce la persona, la eleva. E come pregare ininterrottamente? «…non basta– scrive il teologo ortodosso Evdokimov – avere la preghiera, delle regole, delle abitudini; occorre diventare preghiera, essere preghiera incarnata, fare della propria vita una liturgia, pregare con le cose più quotidiane» (2).

E Chiara Lubich sottolinea che «si può amare (Dio) come figli, col cuore riempito dallo Spirito Santo di amore e di confidenza nel proprio Padre: quella confidenza che porta a parlare spesso con Lui, a dirgli tutte le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti» (3).

C’è poi un modo accessibile a tutti per pregare sempre: fermarsi davanti ad ogni azione e mettere a fuoco l’intenzione con un “Per Te”. È una pratica semplice che trasforma dal di dentro le nostre attività e la nostra intera vita in una preghiera costante.

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

In ogni cosa rendete grazie. È l’atteggiamento che sgorga libero e sincero dall’amore riconoscente verso Colui che, silenziosamente, sostiene e accompagna i singoli, i popoli, la storia, il cosmo. Con la gratitudine verso gli altri che camminano con noi e che ci rende consapevoli di non essere autosufficienti. Gioire, pregare e rendere grazie, tre azioni che ci avvicinano ad essere come Dio ci vede e ci vuole e che arricchiscono la nostra relazione con Lui. Nella fiducia che «il Dio della pace ci santifichi interamente» (4).

Ci prepareremo così a vivere più profondamente la gioia del Natale per fare migliore il mondo, per diventare tessitori di pace dentro noi stessi, nelle case, nei luoghi di lavoro, in mezzo alle piazze. Niente oggi è più necessario e urgente.

A cura di Victoria Gómez e del team della Parola di Vita

________________________________________________________________

1 P. Vergilius Maro/Virgilio/Virgil, Ecloga X.69; per un rendimento musicale si può vedere Gen Rosso, https://music.apple.com/es/album/lamore-vince-tutto-single/1595294067
2 P. Evdokimov, La preghiera di Gesù in La novità dello Spirito, Ed. Ancora, Milano 1997
3 C. Lubich, Conversazioni, Città Nuova, Roma 2019, p. 552.
4 1 Ts 5,23.

 

 

lunedì 13 novembre 2023

Parola di Vita - novembre 2023


 «Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (1Ts 5,5).

La luce ha da sempre simboleggiato la vita. Ogni giorno aspettiamo l’alba quale messaggera di un nuovo inizio. Il tema della luce è stato presente nelle storie dei popoli e nelle antiche religioni. La tradizione ebraica celebra la festa delle luci, Hanukkah, che ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme e la liberazione dai culti pagani. I musulmani accendono le candele nel giorno della nascita del profeta, Mawlid in arabo o Mevlid Kandili in turco.

La festa di Diwali, il cui nome significa serie di luci, originariamente una festa indù, viene celebrata anche da diverse religioni indiane per celebrare la vittoria del bene sul male. Per i cristiani Gesù Cristo è la luce che illumina le tenebre del mondo. Essa, dunque, è una realtà carica di un forte simbolismo, rappresenta una presenza del divino, un dono per l’umanità e per la terra.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Ma quali sono le caratteristiche dei figli del giorno? Una di esse è il “non appartenere alla notte, né alle tenebre”. La rinuncia al sonno, all’apatia sta nella decisione di rimanere a vegliare. È una scelta d’amore quella di abitare e di vivere pienamente il tempo.

L’invito pressante dell’apostolo rivolto alla comunità di Tessalonica è dunque quello di vigilare insieme, rinunciando ad ogni tipo di torpore e di indifferenza. In un tempo in cui l’umanità è particolarmente bisognosa di luce, coloro che non appartengono alla notte hanno il compito di illuminare le relazioni tra le persone, in un donarsi continuo per rendere visibile la presenza del Risorto con fede, amore e speranza, come scrive Paolo (cf. 1 Ts 5,8).

E ancora: occorre coltivare un rapporto più stretto e più vero con Dio, scavando nel nostro cuore, trovando momenti di dialogo attraverso la preghiera, mettendo in pratica la Sua parola che fa risplendere proprio questa luce.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

A volte possiamo anche abituarci a vivere nell’oscurità del nostro cuore o accontentarci delle tante luci artificiali, delle varie promesse di felicità del mondo ma Dio ci chiama sempre a far splendere la Sua luce dentro di noi e a saper guardare le persone e gli avvenimenti con attenzione per cogliervi ricami luminosi.

Lo sforzo è quello di compiere continuamente una scelta che ci fa rinascere, la scelta di passare dall’oscurità alla luce. «Il cristiano non può sfuggire il mondo, nascondersi o considerare la religione un affare privato», scrive Chiara Lubich. «Egli vive nel mondo perché ha una responsabilità, una missione di fronte a tutti gli uomini: essere la luce che illumina. Anche tu hai questo compito, e se così non farai la tua inutilità è come quella del sale che ha perso il suo sapore o come quella della luce che è divenuta ombra (1). […] Il compito del cristiano è dunque lasciar trasparire questa luce che lo abita, essere il “segno” di questa presenza di Dio fra gli uomini»(2).

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Dio è luce e può essere trovato da coloro che lo cercano con cuore sincero. Qualsiasi cosa accada non saremo mai separati dal Suo amore perché siamo Suoi figli. Se siamo sicuri di questo non resteremo sorpresi né schiacciati dagli avvenimenti che ci potranno sconvolgere.

Il terremoto di quest’anno in Turchia e Siria, che ha provocato più di 50 mila vittime, ha stravolto la vita di milioni di persone. Coloro che sono sopravvissuti alla catastrofe, intere comunità del luogo e di altri paesi hanno rappresentato dei punti di luce che si sono adoperati per portare aiuti immediati e dare sollievo a quanti hanno perso affetti, case, tutto.

Le tenebre non potranno mai sopraffare quanti scelgono di vivere nella luce e per generare luce. Questo per noi cristiani significa una vita con Cristo in mezzo a noi, presenza che rende possibile aprire squarci di vita, che ridona speranza, che continua a farci abitare nell’amore di Dio.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

_________________________________________________________________

1 Cf. Mt 5,13-16.
2 C. Lubich, Parola di Vita agosto 1979, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 145-146.

sabato 30 settembre 2023

Parola di Vita - Ottobre 2023

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21).

Gesù è entrato in Gerusalemme, acclamato dal popolo come “Figlio di Davide”, un titolo regale che il vangelo di Matteo attribuisce al Cristo, venuto a proclamare imminente l’avvento del Regno di Dio.

In questo contesto, si svolge un singolare dialogo tra Gesù e un gruppo di persone che lo interrogano. Alcuni sono erodiani, altri sono farisei, due gruppi di opinione diversa rispetto al potere dell’imperatore romano: gli chiedono se giudica lecito o no pagare le tasse all’imperatore, per costringerlo a schierarsi pro o contro Cesare e avere comunque di che accusarlo.

Ma Gesù risponde con un’altra domanda, riguardo quale sia l’effigie impressa sulla moneta corrente. Poiché l’effigie è quella dell’imperatore, risponde:

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Ma cosa è dovuto a Cesare e cosa a Dio?

Gesù richiama al primato di Dio: infatti, come sulla moneta romana è impressa l’immagine dell’imperatore, così in ogni persona umana è impressa l’immagine di Dio.

La stessa tradizione rabbinica afferma che ogni uomo è creato a immagine di Dio (1), usando l’esempio dell’immagine impressa sulle monete: “Quando un uomo conia delle monete con lo stesso suo stampo, sono tutte simili, ma il re dei re, il Santo che sia benedetto, ha coniato ogni uomo con lo stesso suo stampo del primo uomo, e nessuno è uguale al suo compagno”(2).

A Dio solo, dunque, possiamo dare tutti noi stessi, a Lui solo apparteniamo ed in Lui troviamo libertà e dignità. Nessun potere umano può pretendere la stessa fedeltà.

Se c’è qualcuno che conosce Dio e può aiutarci a dare a Lui il giusto posto, questo è ancora Gesù. Per lui: «[…] amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre […]. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere. […] Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente» (3).

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Quante volte ci troviamo di fronte a dilemmi, scelte difficili che rischiano di farci scivolare nella tentazione di facili scappatoie. Anche Gesù è messo alla prova di fronte a due soluzioni ideologiche, ma per lui è chiaro: la priorità è la venuta del regno di Dio, con il primato dell’amore. Lasciamoci interrogare da questa Parola: il nostro cuore è conquistato dalla notorietà, dalla carriera fulminante; ammira le persone di successo, i vari influencers? Diamo forse alle cose il posto che spetta a Dio?

Con la sua risposta, Gesù propone un salto di qualità, invitandoci ad un discernimento serio e approfondito sulla nostra scala di valori. Nel profondo della coscienza possiamo ascoltare una voce, talvolta sottile e forse sovrastata da altre voci. Ma possiamo riconoscerla: è quella che ci spinge ad essere cercatori instancabili di vie di fraternità e ci incoraggia sempre a rinnovare questa scelta, anche a costo di andare controcorrente.

È un esercizio fondamentale per costruire le basi di un autentico dialogo con gli altri, per trovare insieme risposte adeguate alla complessità della vita. Ciò non significa sottrarsi alla responsabilità personale nei confronti della società, ma piuttosto offrirsi ad un servizio disinteressato al bene comune.

Durante la prigionia che lo porterà all’esecuzione per la sua resistenza civile al nazismo, Dietrich Bonhoeffer scrive alla fidanzata: «Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra, malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo» (4).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

________________________________________________________________

1 Cf. Gen 1,26.
2 Mishnà Sanhedrin 4,5.
3 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2002, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 669-6704 

4 Dietrich Bonhoeffer, Maria von Wedemeyer, Lettere alla fidanzata, Cella 92, Queriniana, Brescia 1992, 48.

 

 

sabato 23 settembre 2023

Parola di Vita - settembre 2023


 “Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”(Sal 145 [144],2).

La parola della Scrittura che ci viene proposta in questo mese per aiutarci nel nostro cammino è una preghiera. È un versetto tratto dal Salmo 145. I Salmi sono composizioni nelle quali si rispecchia l’esperienza religiosa individuale e collettiva del popolo di Israele nel suo percorso storico e nelle varie vicissitudini della sua esistenza. La preghiera fatta poesia sale al Signore come lamento, supplica, ringraziamento e lode. In questo respiro c’è tutta la varietà di sentimenti e atteggiamenti con cui l’uomo esprime la sua vita e il suo rapporto con il Dio vivente.

Il tema di fondo del salmo 145 è la regalità di Dio. Il salmista, sulla base dalla sua esperienza personale, esalta la grandezza di Dio: “Grande è il Signore e degno di ogni lode” (v. 3); magnifica la sua bontà e l’universalità del suo amore: “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (v. 9); riconosce la sua fedeltà: “Fedele è il Signore in tutte le sue parole” (v. 13b), e arriva a coinvolgere ogni essere vivente in un canto cosmico: “Benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre” (v. 21).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

L’uomo moderno, tuttavia, si sente a volte smarrito con l’impressione di essere abbandonato a sé stesso. Teme che le vicende delle sue giornate siano dominate dal caso, in un succedersi di eventi privi di significato e di traguardo.

Questo salmo è portatore di un rassicurante annuncio di speranza: «Dio è creatore del cielo e della terra, è custode fedele del patto che lo lega al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere lo straniero, a sostenere l’orfano e la vedova» […] (1).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Questa parola ci invita innanzitutto a curare il nostro rapporto personale con Dio accogliendo, senza riserve, il suo amore e la sua misericordia e mettendoci davanti al mistero in ascolto della sua voce. In questo consiste il fondamento di ogni preghiera. Ma poiché questo amore non è mai disgiunto da quello per il prossimo, quando imitiamo Dio Padre nell’amare concretamente ogni fratello e sorella, in particolare gli ultimi, gli scartati, i più soli, giungiamo a percepire nel quotidiano la sua presenza nella nostra vita. Chiara Lubich, invitata a donare il suo vissuto cristiano ad un’assemblea di buddisti, lo riassumeva così: «… il cuore della mia esperienza è tutto qui: più si ama l’uomo, più si trova Dio. Più si trova Dio, più si ama l’uomo» (2).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Ma c’è un’altra via per trovarlo. Negli ultimi decenni l’umanità ha acquisito nuova consapevolezza del problema ecologico. Motore di questo cambio sono, in particolare, i giovani che propongono uno stile di vita più sobrio con un ripensamento dei modelli di sviluppo, un impegno per il diritto di tutti gli abitanti del pianeta ad avere acqua, cibo, aria pulita, e una ricerca di fonti di energia alternative. In questo modo l’essere umano può non solo recuperare il rapporto con la natura ma anche lodare Dio avendo scoperto con stupore la sua tenerezza verso tutta la creazione.

È l’esperienza di Venant M. che, da bambino, nel suo Burundi natale si svegliava all’albeggiare con il canto degli uccelli e percorreva, nella foresta, decine di chilometri per andare a scuola; si sentiva in piena sintonia con gli alberi, gli animali, i ruscelli, le colline e con i propri compagni. Avvertiva la natura vicina anzi, si sentiva parte viva di un ecosistema in cui creature e Creatore erano in totale armonia. Questa consapevolezza diventava lode, non di un momento, ma proprio di tutta la giornata.

Qualcuno potrebbe chiedersi: e nelle nostre città? «Nelle nostre metropoli di cemento, costruite dalla mano dell’uomo tra il frastuono del mondo, raramente la natura si è salvata. Eppure, se vogliamo, basta uno squarcio di cielo azzurro scorto fra le cime dei grattacieli, per ricordarci Dio; basta un raggio di sole, che non manca di penetrare nemmeno fra le sbarre d’una prigione; basta un fiore, un prato, il volto di un bambino…» (3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

_______________________________________________________________

1 Giovanni Paolo II. Udienza Generale, 2 luglio 2003, commento al Salmo 145.
2 M. Vandeleene, Io, il fratello, Dio nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1999, p. 252

3 C. Lubich, Conversazioni, in collegamento telefonico, a cura di Michel Vandeleene (Opere di Chiara Lubich 8.1; Città Nuova, Roma 2019) p. 340.