giovedì 30 dicembre 2010

Sentieri di uccelli




Sentieri di uccelli

Nel gelo che brucia
sul sentiero degli uccelli
cerco le orme

Sorrido
- esorcizzo la tristezza

Gli uccelli nel giardino
si posano senza gravità
non c’è peso di malinconia


Foto e versi di Marek Trizuljak

martedì 28 dicembre 2010

Natale mi ha raggiunto

Mi scrive qualcuno:

Ho vissuto un Natale da dimenticato. Penso che la cosa peggiore che si possa sperimentare è quella di "non esistere" per nessuno. E' una morte sociale.
Poi mi sono ricordato che nel palazzo dove abito c'erano altri "soli" e sono andato a trovare una coppia di anziani. Erano così felici e grati anche perchè avevano bisogno di un aiuto per tante cose, perchè malati.
Nel loro sorriso ho visto Dio: Natale mi ha raggiunto.

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venerdì 24 dicembre 2010

MISTERO D'AMORE

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"Se rinascessi farei tante cose. Se non avessi fondato l’Opera di Maria (Movimento dei Focolari), ne fonderei una che serve i Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le più belle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette coll’arte più pregiata. Inciderei poesie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli e adulti su questo “mistero d’amore”, stenderei canovacci per rappresentazioni e film. Non so quel che farei…" 
                           Chiara Lubich

Tratto da "Hanno sloggiato Gesù" 


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giovedì 23 dicembre 2010

Comincio io!

Roberto mi ha suggerito di iniziare una rete... di sorrisi.  
OGGI SORRIDO A CHI NON SORRIDEREI MAI.
Sì, Roberto, il sorriso che "costa qualcosa" è un gesto che fa bene  innazitutto a chi lo fa.
"Sorriso che non dai, gioia che non hai!"
Grazie del suggerimento!


 
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martedì 21 dicembre 2010

Natale: silenzio che è voce

Un commento posto recentemente è stato un dono e lo riporto, mentre ringrazio l'anonima che mi scrive.

Chi può negare che nella propria vita non abbia mai incontrato un "punto luce"? Ci sono delle persone, e non importa la loro appartenenza ad una religione o meno, che anche nel buio più fitto della storia umana irradiano una luce particolare di cui loro stesse spesso non sono coscienti, specie se umili e modeste, eppure sono il "sale della terra" e aprono la via ai nostri passi.

Un ricordo ed un omaggio che in questo momento avverto come doveroso:
in una casa amica di famiglia, già dall'infanzia, ricordo una zia nubile e povera accolta più come domestica-cuoca-bambinaia-sarta tutto fare che come sorella, cognata e zia. Mi colpiva sempre perchè assolutamente silenziosa, serviva e tornava a scomparire in ogni occasione, eppure quasi sempre la famiglia ne parlava con fastidio, ironia e critiche.

Così, fino a tarda età, ha servito in silenzio, allevato i nipoti e i pronipoti,servendo anche spesso nelle loro case, confezionato abiti e organizzato migliaia di feste in cui appariva frettolosa in silenzio per servire e scomparire in cucina o nella sua stanzetta di domestica.Ha anche accompagnato alla fine della vita molte persone della famiglia compresa la suocera del fratello morta a cento anni.


Rispondeva con poche parole solo a chi le faceva una domanda diretta e sorrideva raramente ma con tanta dolcezza all'affettuosità semplice ma sincera dei vari bambini, noi compresi.
Più tardi, da giovane ed adulta, ho visto in lei una grande luce e provato una tenerezza ed una stima profonda, direi istintiva, ed ho per caso scoperto il suo segreto: chiedeva per se' solo il permesso di andare ogni giorno alla prima Messa in Parrocchia. Niente altro.

E' morta praticamente da sola in una struttura a lunga degenza quando non poteva più servire, ma essere servita, e ci è stato comunicato troppo tardi per poter fare qualcosa per lei.

Continuo nel tempo a pensare a lei ed a pregarla come una santa luminosissima che mi è stato concesso di avvicinare e da cui ho ricevuto un raro straordinario esempio.
Grazie Maria Assunta, luce silenziosa nel mondo per il mondo!


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domenica 19 dicembre 2010

... una grande strada di luce nei millenni

«Il Battista fa chiedere a Gesù: "Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?".
Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: "Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?". E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: "Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!". Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo. Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione. Non erano loro.
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: "Sei tu?". Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: "Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni".
… non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, che non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.
"Dio è vicino", (…) è vicino, ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce (…) diventiamo noi stessi luce per gli altri (…) così che noi stessi diventiamo una delle più piccole luci che Lui ha acceso e portiamo luce nel mondo che sente di essere redento.»

(Benedetto XVI – 12.12.2010, Torre Angela – Roma)

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venerdì 17 dicembre 2010

NON SI SA MAI ! (You never know)

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Mentre sto andando a trovare Paolo, in ospedale da più di tre settimane, mi telefona Riccardo e mi chiede se può venire anche lui.
Trovo Paolo abbastanza debilitato. La situazione è seria. Diverse operazioni in breve tempo e non pare di intravedere miglioramenti.
Ci stiamo accomiatando dalla moglie Sara, quando scorgo Paolo che guarda profondamente il figlioletto che, con infinita delicatezza, sta giocando con la sua mano. Una scena commovente. Se non disturbassi farei una foto.  
Usciamo. Intanto Riccardo mi dice che ha dato appuntamento a qualcuno proprio davanti all’ospedale. Una cosa da sbrigare nel giro di qualche minuto. Infatti, dopo un po’ arriva l’auto attesa.
Vado verso la macchina al parcheggio sapendo che si tratta di breve tempo. Poi vedo che il tempo passa e decido di uscire dalla macchina e fare due passi. Forse faccio qualche foto ma non trovo niente d’interessante. Soltanto la corteccia di una betulla mi attira perché vi leggo il gioco del tempo. Rimpiango di non aver fissato il momento delicatissimo di Paolo con il figlioletto.
Passa altro tempo. Attendo. Sbircio nella macchina dove Riccardo chiacchiera con l’amico e vedo che si sta interessando a un navigatore. Insomma l’attesa imprevista sta diventando pesante e, più che mancanza di tatto, mi sembra che Riccardo non si renda conto che avrebbe almeno dovuto dirmelo che sarebbe stato più di un attimo ma quasi un’ora. Poi, non so da quale angolo della mente, mi viene l’idea di trasformare quella piccola contrarietà in un fiore per Paolo e scatta dentro di me l’idea che l’attesa si è combinata soltanto perché io fossi più sensibile alla situazione di Paolo, bloccato in ospedale quasi un mese. Al posteggio arriva una macchina che ad alto volume lascia sentire una vecchia canzone “You never know” (non si sa mai).
Sì, non si sa mai perché succedono certe cose! In quel momento vedo Sara. La saluto da lontano. Mi fa capire che vuole parlarmi. Affida il figlioletto a un parente che l’aveva accompagnata. Appena sicura di non essere vista dal bambino scoppia a piangere. Quando riesce a parlare mi confida che il medico le ha detto che la situazione ormai sta precipitando irreversibilmente. Non sanno come arrestare l’infezione e Paolo è troppo debole. Praticamente il medico aveva confermato un timore che girava nell’aria da qualche giorno.
Capisco che il “Regista invisibile” ha organizzato l’attesa perché io potessi incontrare Sara.
Affido Paolo al Regista e affido anche me, con l’accresciuta voglia di seguire le sue indicazioni per il bene di Paolo.
Riccardo mi raggiunge dopo qualche tempo e mi chiede scusa perché si era del tutto dimenticato che lo stavo aspettando. Gli dico che la mia impazienza è ora gratitudine perché ho potuto incontrare Sara. Gli dico che si sta consumando l’ultimo filo a cui è appesa la vita di Paolo. Mentre parlo, mi convinco che devo mettere tutto l’impegno a credere che il filo non si spezzerà. Per Paolo posso soltanto accrescere la mia fede. Nulla è impossibile a Dio!
L’indomani mi telefona Sara per dirmi, pur con le dovute riserve, che i medici avevano notato che non c’era stato peggioramento. C’è da attendere delle ore, ma le cose forse stanno cambiando.
I giorni seguenti Paolo è fuori pericolo ed io ho la sensazione di aver sbirciato nella misteriosa fucina del “Regista” e di aver rubato qualche scintilla del fuoco che produce miracoli: la solidarietà che ci trasforma. Ancora una volta la vita mi insegna che il vero miracolo che possa accadere è credere all’amore di Dio e ad attivarlo verso i fratelli. Talvolta è eroico ma… non si sa mai!  

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lunedì 13 dicembre 2010

La neve cade

La neve cade, la neve cade.
Alle bianche stelline in tempesta
si protendono i fiori del geranio
dallo stipite della finestra.
La neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.
La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.
Come se con l’aspetto di un bislacco
dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.
Perché la vita stringe. Non fai a tempo
A girarti dattorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l’Anno Nuovo.
Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
per le stesse orme, per lo stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,
tenendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l’uno dietro l’altro,
non si succedano come la neve,
o come le parole di un poema?
La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchio.
poesia di Boris Pasternak
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giovedì 9 dicembre 2010

Appuntamento con il mistero


Mi son trovato un giorno ad ascoltare il vecchio papà di un amico. Mi raccontava della guerra, dello scoppio di una bomba che lo aveva gravemente ustionato, della sua miracolosa guarigione...
Mentre l'anziano parlava, fui sorpreso nel vedere il dolore della moglie e della figlia, come se quel fatto accadesse in quel momento. Chissà quante volte avevano ascoltato quel racconto, eppure sembrava si trovassero di fronte a quel fatto per  la prima volta.
Mentre tornavo a casa, non riuscivo a pensare ad altro che al pianto dei parenti. “Com’è possibile – mi chiedevo - che un fatto così lontano provochi ancora dolore?”.
La risposta la ebbi durante una Messa.
Il sacrificio di Gesù diventa attuale per il potere che Gesù stesso ha dato alla Chiesa, ma anche per un coinvolgimento che mi rende consapevole di un grande amore dal quale non posso sfuggire e al quale non posso non rispondere. 
Ecco la spiegazione: è l'amore che attualizza il passato. Soltanto l'amore ha il potere di entrare nel passato e di riportarlo al presente. E la Chiesa riporta nel presente un evento di più di due millenni fa: Natale. L'infinito che si chiude nella storia, l'incontenibile Amore che si fa prendere in braccio, l'origine della storia che viene a segnare una data. Sembrano tanti i Natali passati eppure, per la forza del mistero, questo Natale può essere il primo della storia, può segnare l'inizio di un’era nuova.
Natale è un grande appuntamento con il mistero.    

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venerdì 3 dicembre 2010

“Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37)


I colleghi avevano preso la decisione di agire conto il nostro capo-cattedra perché ci mandava delle lettere “ingiuste” che avrebbero potuto avere conseguenze negative. Loro, sapendo che avevo un buon rapporto con il rettore, incaricano me per portargli una lettera a svantaggio del nostro capo.
Mi trovai tra l’incudine e il martello: da una parte volevo aiutare i colleghi d’altra parte mi dispiaceva agire contro il capo, perché l’università era tutta la sua vita.
Ho chiesto aiuto a Dio. Quello stesso giorno ricevo un regalo. Senza pensarci due volte, metto quel dono sulla scrivania del capo, che quando arriva mi fa chiamare chiedendomi spiegazioni. Dico che, avvicinandosi Natale, mi sembra logico sottolineare che è festa e che siamo una famiglia. Lui resta in silenzio. Ne approfitto per dirgli che quelle lettere che lui ci scrive creano tra i colleghi uno strano senso di diffidenza.
Lui mi spiega che lo fa per zelo, ma “se questo rovina i nostri rapporti, non vi scriverò più queste note di rimprovero”.
Nella nostra cattedra tornò la pace e la gioia di lavorare insieme. Quando i colleghi mi chiesero cosa fosse avvenuto, non seppi spiegare che veramente “nulla è impossibile a Dio!” 



martedì 30 novembre 2010

Chi sono?


Nicodemo, mi suggerisce di rispondere in modo sintetico ed essenziale a “Chi sono?” e “Perché sono?”

Chi sono?
Sono l’amore di quanti mi hanno amato e mi amano. Nella scintillante lista ci sei anche tu che mi scrivi e mi leggi.

Perché sono?
Voglio rispondere a un amore. Talvolta ci vuole il coraggio nascosto nel fondo della solitudine, la capacità di rischiare tutto ciò che so per un ignoto che non so. La chiave della mia felicità è stata consegnata a chi mi passa accanto. Come anch’io posseggo la chiave della felicità di altri. Questo gioco grande e appassionante mi sembra sia il senso della mia esistenza.

Ciao, Nicodemo, e grazie!
Tanino 

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venerdì 26 novembre 2010

L'anello debole

Ho ricevuto molte reazioni a ciò che pubblico. E' sempre un dono, qualsiasi cosa mi viene detto.
Qualcuno mi ha chiesto che lavoro faccio, altri mi chiedono se ho famiglia, perchè abito proprio a Bratislava... per questi rimanderei all'intervista TV segnalata in questo blog.
Una suora mi chiede perchè non scrivo più su Città Nuova. Non ho smesso di scrivere su Città Nuova.
Aurelio mi chiede se è attuale parlare di fede o di una vita basata su di essa. Lui mi dice che oggi, nel suo mondo (lavora in una struttura sanitaria) la fede è più o meno un palliativo.
Ad Aurelio trascrivo una frase di G.K. Chesterton: "Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti.
Ma quest'unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole".
Sono immensamente grato a ciascuno. Tanino   

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martedì 23 novembre 2010

Sepoltura dei sogni

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Oggi sono stato alla sepoltura della mamma di un amico. Pioveva a dirotto e la sala della “casa della tristezza”, come chiamano in Slovacchia l’edificio dove si svolge la cerimonia di commiato, che può essere anche un rito religioso, era troppo piccola per contenere tutti.
Tenevo l’ombrello in modo che non disturbasse i vicini. Dalla sala poi, dietro al feretro, comincia a muoversi un serpentone di ombrelli che diventerà un fiore variopinto attorno alla fossa già scavata. Tra canti dell’intero gruppo di amici, con qualche ricordo gridato in un microfono ondeggiante, cerco di ascoltare chi parla. Davanti a me due donne si comunicano notizie delle rispettive famiglie e ricette di dolci per diabetici, incuranti dei loro ombrelli che dondolano secondo il racconto, facendo dondolare anche la testa di chi cerca qualche spiraglio per vedere in faccia i parenti stretti o il parlatore di turno.
Comunque riesco a seguire un vescovo che parla della defunta, di Marika, come di una grande attivista in tempi duri. Una ragazza coraggiosa che si esponeva anche a pericoli pur di testimoniare la sua fede. Lei aveva intuito che i sogni hanno bisogno di martiri, di gente che sa rischiare tutto. Le due donne che stavano davanti a me, decidono di andare via. È più facile ora seguire il ricordo che fa piangere marito e figli.
Sapevo poco di quella donna, da vent’anni ridotta all’immobilità da una feroce malattia. Dopo aver salutato la famiglia, l’amico m’invita alla messa che sarebbe stata nella loro chiesa parrocchiale e poi al “kar”, il ricevimento che la famiglia del defunto offre ad amici e parenti.
È un’occasione di ritrovarsi sullo sfondo della vita che passa.
Dipende dalle possibilità della famiglia il tipo di cena e il numero degli invitati. Spesso vengono proiettate delle foto. Sono stato a tanti kar, ma stavolta c’è una caratteristica. Sono presenti molti di quelli che avevano sognato un futuro migliore per questo Paese. Uno di questi, un anziano professore è seduto di fronte a me alla tavola della cena. “Ce ne stiamo andando tutti e con noi seppelliranno anche i nostri sogni! L’altro giorno un mio nipote mi diceva che la nostra generazione di idealisti oggi non potrebbe vivere. Patria, famiglia, fedeltà, onestà, tradizione… tutta roba di un passato lontano. Ho chiesto a mio nipote se ha qualche sogno. Mi ha risposto che i sogni albergano in chi non sa o non può soddisfare i propri bisogni. Oggi si vive il tempo che si ha. Carpe diem!
Mio nipote è un ragazzo bravo ma sembra che oggi il distacco tra le generazioni sia molto più profondo di una volta e che nessun passato sia capace di dare qualcosa alle nuove ondate di umanità”.
Quando ci viene offerta la grappa per fare il brindisi in memoria della defunta, il professore in piedi e con il braccio alzato, aggiunge a chi aveva introdotto il brindisi: “Cari amici, Marika anche dalla sua immobilità non ha visto spegnere i suoi sogni e li riaccendeva in chi l’andava a trovare. La malattia e la morte l’avrebbero messa a tacere, ma non sono riuscite. Marika non tace, ora parla più forte”.
Un sentito applauso arrivò da varie parti della sala piena di gente seduta alle tavolate o in piedi in attesa di cominciare a servire.
“Figlio mio – mi dice il professore dopo aver bevuto la grappa - se potessi parlare al cuore dei giovani direi: sappi afferrare ciò che la vita ti suggerisce, magari con una intuizione. Lasciati condurre da essa. I progetti che facciamo soltanto per avere una vita più facile, per quanto grandi, ritmano la nostra crescita, ma non vanno lontano. Le intuizioni, come i sogni, non hanno il nostro ritmo, sono piccole fessure che ci fanno intravedere il Paradiso!”   

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giovedì 18 novembre 2010

C'era una volta ... un topo

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In una città grande e bella c’era un famoso Istituto di Bellezza. Chi vi entrava ne usciva trasformato. I vecchi tornavano giovani, i brutti diventavano belli, i pessimisti cambiavano umore ed eccoli ottimisti, i tristi cominciavano a sorridere.
Un giorno arrivò lì una vecchia e brutta strega. Era uscita dalle favole perché da quando c’era il consumismo non faceva più affari. Aveva così deciso di diventare attrice cinematografica. Certo che il suo caso era molto difficile.
Bisogna sapere che quell’istituto era famoso perché usava soltanto prodotti naturali: applicava maschere facciali preparate con burro, miele e formaggio.
Un’ape, che forniva miele alla casa della bellezza, confidò un giorno a un topo che in quell’istituto di formaggio ce n’era tanto. E i topi, si sa, amano il formaggio.
E così anche il topo andò in quell’istituto. Quando fu arrivato, non ebbe bisogno di chiedere informazioni. Il suo fiuto non falliva: sentiva dov’era il formaggio.
Si venne a trovare nella sala delle trasformazioni. Lì gli estetisti avevano appena finito di applicare alla nostra strega la maschera al formaggio piccante. Il topo stette un po’ a osservare. Quando gli esperti si allontanarono, si fece più vicino al formaggio, cioè alla faccia della strega. La poveretta era sdraiata sul lettino ed era tutta coperta di bende e lenzuola. Era più brutta e terrificante del solito. Non poteva neanche immaginare che sul suo volto non erano le mani degli estetisti che lavoravano ma un topo.
Aprì mezz’occhio per vedere come andavano i lavori e cosa vide: proprio vicino al suo occhio due occhietti piccolini che guardavano meravigliati.
Nonostante fosse strega, ebbe paura e lanciò un urlo così acuto che tutto il palazzo tremò. Senza più pensare alla maschera e alle bende, se la diede a gambe. La gente che era in sala di attesa, vedendo quel mostro ebbe paura e in quattro e quattr’otto eccoli tutti a correre sulle strade. Correvano e gridavano… Non stavano a guardare neanche i semafori rossi.
I vigili urbani, vedendo quel disordine, corsero anche loro e in breve tempo la città fu messa a soqquadro. C’era un mostro orribile che sembrava un fantasma – noi sappiamo che era la strega – e dietro la folla urlante e sbraitante, e dietro ancora i vigili, poi i pompieri, gli spazzini e i becchini. C’era perfino il farmacista e il camionista.
Correndo correndo alla strega caddero maschera e lenzuola. Si fermò e chiese: “Ma dove stiamo correndo?”
Nessuno seppe rispondere. Allora lei raccontò che le avevano applicato la maschera al formaggio quando un topo…
“Un topo? Un topo vero?” chiese un bambino che era lì. E senza neppure pensarci scappò via verso l’istituto alla ricerca del topo. La madre di corsa dietro il figlio. La gente non capendo nulla, pensò che il fantasma si fosse risvegliato e via a correre. Tutta la città, un caos.
Il topo intanto, dopo essersi fatta una bella scorpacciata di formaggi freschi, se ne stava sul cornicione dell’Istituto di Bellezza a fare la siesta. Sentendo le urla guardò giù. Vedeva la gente correre all’impazzata, prima verso una direzione poi verso l’altra.
Scuotendo la testolina disse fra sé e sé: “C’è una cosa che non capisco: tutti scappano, ma dov’è il gatto?”.

(Ho già pubblicato questa storiella in un'antologia di testi per gli esami di italiano in Ungheria. Aggiungo un mio tentativo di illustrarla)  


lunedì 15 novembre 2010

Dittatura del relativismo


“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. 
Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É Lui la misura del vero umanesimo. 
"Adulta" non é una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura é una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo.”


Joseph Ratzinger, Omelia alla messa "Pro eligendo Romano Pontifice", Roma, 18 aprile 2005

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giovedì 11 novembre 2010

Tonička, una piccola donna tra i Monti Giganti

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Tonička era una piccola donna dei monti Sudeti. Sotto il regime comunista si adoperò perché i giovani non cadessero nella trappola della promessa del paradiso in terra.
Il suo impegno anche tra gli operai, non lasciò indifferenti gli osservatori del partito, e venne condannata a sei anni di carcere.
Sfruttò la prigione per pregare, per ripassare le materie apprese a scuola e soprattutto per consolare le detenute politiche e poi le prostitute e le ladre con cui condivise la prigione. Cercò di amare anche i poliziotti costretti a terrorizzare i detenuti.
Dopo tre anni fu rimessa in libertà perché malata di tubercolosi. Lei continuò a dire che la prigione era stata una scuola: ora sapeva ciò che è importante e ciò che non è importante. E fu questo che cercò di comunicare e insegnare, soprattutto alle famiglie e ai giovani.
Dopo la sua morte, due anni fa, la sua casa è rimasta aperta ai giovani e alle famiglie che vengono a trovare i loro parenti degenti, nell’ospedale dove Tonička aveva lavorato come infermiera.
Un piccola-grande donna che ha lasciato una scia di luce e di coraggio, anche nei suoi sette libri carichi di saggezza e di giusta visione della realtà. Una donna che “vedeva”. 

“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8).  

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sabato 30 ottobre 2010

I bambini imparano quello che vivono


Rosaria manda a me e ai lettori questa pagina tratta da I bambini imparano quello che vivono  di Dorothy Law Nolte, Fabbri Editore

Se un bambino vive nella critica impara a condannare.

Se un bambino vive nell'ostilità impara ad aggredire.

Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido.

Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.

Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.

Se un bambino vive nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia.

Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.

Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.

Se un bambino vive nell'approvazione impara ad accettarsi.

Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo.

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venerdì 29 ottobre 2010

INSOMMA ...


Non ricordo esattamente quanti anni avessi. Ero sicuramente molto piccolo, nell’età dei mille perché. Ed uno dei miei “perché” era: “Perché Peppe non parla?”. “Perché è sordomuto” rispondevano i grandi.
“E perché è sordomuto?”.
Peppe veniva quasi tutti i giorni da noi. Era povero, solo. Gli davamo da mangiare. Il fatto che fosse sordomuto non mi spiegava nulla. Volevo saperne di più.

Assieme a mio fratello, di poco più grande di me, trovammo la spiegazione giusta: “Peppe non parla perché ha finito tutte le sue parole”.

Ricordo che da quel giorno fui preso dalla nascosta paura di consumare tutte le mie parole. Da un momento all’altro anche le mie parole sarebbero finite, proprio come finisce un gelato.
Così con mio fratello decidemmo di conservarci più parole possibili fino a che non saremmo diventati grandi. I grandi, infatti, non hanno problemi. Parlano, parlano, parlano e non hanno paura che le loro parole finiscano.
E io vedevo che di parole i grandi ne avevano tante. E avevano parole difficili, anzi difficilissime. Mio padre, per esempio, quando parlava diceva spesso insomma. Io non sapevo cosa fosse quella parola. Non era un tavolo, non era un oggetto da me conosciuto. Era una parola che solo i grandi potevano dire.
E mi dicevo: “Anch’io da grande potrò dire insomma tutte le volte che ne avrò voglia!”.
E sognavo il giorno in cui finalmente avrei potuto dire: insomma!


(Eravamo partiti con questa pubblicazione il 28 ottobre 2009. Non avrei immaginato che dopo un anno sarebbero stati così tanti gli amici che avrei incontrato. Insomma... un grazie immenso a tutti! Tanino)

domenica 24 ottobre 2010

... e lungamente ci dice addio


Luisa, una sostenitrice del blog, mi scrive dell’autunno.
È poesia. Con il suo permesso dono anche ad altri i suoi pensieri.
Ho scelto anche una poesia di Cardarelli che si imparava a memoria alle elementari. 


Luisa:

Autunno, la mia stagione (la metamorfosi dei colori naturali, la pace dopo il chiasso dell'estate, l'odore di terra bagnata, l'attenuarsi sfumato dei paesaggi nella nebbiolina dell'alba o del tramonto, il ricordo dell'odore dei libri nuovi di scuola che sfogliavo velocemente vicino al mio naso, il tepore delle prime coperte di lana sul letto, un gran senso di pace donato dalla natura che si quieta e, dopo l'uva e le olive, prende il suo meritato riposo...), ma ormai anche la "nostra" reale umana stagione di vita, vero?

E come tale invita a un apparente letargo che tale non è: imitando i semi, ormai già posti nei solchi arati delle campagne, è tempo che ci si prenda uno spazio per riconoscere in noi i semi che ci sono stati affidati dal Signore e dalla famiglia e meditare sull'uso che ne abbiamo fatto. E' tempo di ringraziare per il piccolo o grande raccolto della nostra umana "estate" ormai trascorsa; della forza ancora concessa per donare quello che possiamo e sappiamo; per guardare con serenità a ciò che attende là, dietro l'angolo, l'eterna sorpresa gioiosa o dolorosa della grande avventura di questa vita terrena!

Ma ciò che non ci deve sfuggire in questo naturale e umano Autunno, è la promessa bellissima che racchiude: sotto la terra, nel nostro cuore, nel mistero che tutto questo innegabilmente è, i semi non sono inattivi, si preparano a germogliare al primo tocco del caldo "Sole", e fendendo le zolle indurite dal freddo invernale che li ha fatti immaginare come morti lì sotto, vengono alla luce, sorpresa sublime piena di grazia e di colori e di promesse future di frutti abbondanti: una vera resurrezione!

E allora sia benedetto il nostro Autunno. Sono molto contenta che sia la mia stagione preferita. 


 Vincenzo Cardarelli:

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.


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giovedì 21 ottobre 2010

IL SEGRETO DELLA VITA

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Nascosta tra rovi e rocce c’era una grotta dove viveva un uomo saggio. La sua fama aveva oltrepassato monti e valli.
Un giorno lo raggiunsero tre giovani forti, spavaldi e curiosi. Il saggio ascoltò le loro domande e alla fine diede a ciascuno un seme: “L’albero darà il suo frutto, mangiatelo quando è maturo. Vi farà capire il segreto della vita”.
Mentre tornavano in città i giovani si chiedevano increduli: “Un frutto che insegna a vivere?”
Dopo la giusta attesa, gli alberi nati dai semi, portarono frutto.
Il primo dei tre giovani, per diventare saggio prima degli altri, raccolse tutti i frutti del suo albero, ancora acerbi. Li mangiò avidamente ma i frutti non avevano sapore. Ciò che lo fece arrabbiare fu un mal di pancia terribile come mai aveva avuto. Allora lui, amareggiato e deluso, segò l’albero.
Il secondo, per non fare come il primo, fu prudente e attese e attese. Ma, ahimè!, i frutti già sfatti, in una notte di vento, caddero e nutrirono così tanto le radici dell’albero che nessuna scala esistente nel paese poteva raggiungere i pochi frutti rimasti sui rami. Anche lui pensò che il saggio si fosse preso gioco di loro e tagliò l’albero per non pensarci più.
Il terzo, una mattina, fu svegliato dal cinguettio degli uccelli e dal ronzio delle api che in festa giravano attorno all’albero al centro del giardino. Capì che i frutti erano arrivati a giusta maturazione. Li raccolse e, prima di assaggiarne, li portò ai due amici per consolarli. Li mangiarono. Erano veramente deliziosi. Non avevano mai assaporato un frutto simile. Dopo aver mangiato, i due chiesero: “Dove sta il segreto? Bastano i soldi, e di frutta ne compriamo tutta quella che vogliamo!”
Il terzo disse: “Forse il saggio voleva farci capire che come il frutto non va raccolto né prima, né dopo, ma al momento giusto, così ogni cosa va fatta a suo tempo”.
“E noi dovremmo stare tutta la vita a romperci la testa per capire quale sia il momento giusto? Troppo difficile!”
Pieni di stizza e senza salutare se ne andarono all’osteria.
Il terzo invece si mise in cammino verso la montagna. Arrivò tra le rocce. Cercò il saggio per ringraziarlo, ma non lo trovò.
Allora tornò in paese e per amore e gratitudine verso il saggio, cominciò a distribuire i semi della saggezza a tutti i paesani che, vedendo in lui tanta bontà, presero il seme con il cuore pieno di speranza. E tutto il paese si animò di nuova gioia. 

foto di Palko Danko

martedì 19 ottobre 2010

L'ORCHIDEA INSEGNA...


Sto osservando una pianta di orchidea.
Dalle foglie è spuntato giorni fa un nuovo getto. Era difficile stabilire se si trattava di una nuova radice o di fiore. Oggi, dalla direzione verso l’alto so che ci sarà un nuovo fiore.
Proprio in questi giorni in cui la “presenza” di Marco Bettiol è forte, e adesso, mentre scrivo, Maurizio mi comunica la morte del padre, l’orchidea mi sta spiegando che nell’umanità ci sono persone che fanno da radice, altri risplendono come fiori.
E mi fa capire che nella vita si alternano momenti-radice a momenti-fiore.
Per qualcuno la radice non è solo un momento. Penso a Chiara M., a Rosaria… persone che, per come vivono il loro stato, sostengono e fanno vivere la pianta dell’umanità. Anche me. Senza radice la pianta non avrebbe fiore. Ogni mia gioia ha una radice, visibile o invisibile.

Ieri mi scriveva un chirurgo che sta in Camerun, chiedendomi di dire di più della mia vita. Questa pagina è una prima risposta a Rolland e su richiesta anche di altri apro la rubrica “Diario”.

Foto mia

venerdì 15 ottobre 2010

MARCO BETTIOL, luce ai cuori in ombra


Oggi raccontavo al superiore di un ordine religioso di Marco Bettiol, un ragazzo di 18 anni che, seppur dentro un corpo fortemente segnato dalla malattia, riesce a comunicare con il computer. Dicevo: "Quando scrive ti apre una finestra che ti fa vedere lontano, dentro le cose. Dentro la tua stessa vita".
Quando il religioso è andato via, trovo al computer la notizia che Marco stamattina è “arrivato”.
I genitori scrivono: "..che festa grande, in Cielo!" Ringraziamo Dio che ce l'ha donato.
Marco carissimo, prega per noi.

Il 4 luglio 2010, scriveva:
La vita è una strada che non si ferma quando vorremmo sederci,
che molte volte non va nella direzione che avremmo desiderato,
che spesso è così in salita da lasciarci senza fiato,
ma che va affrontata con lo sguardo puntato sulla meta…

Buon cammino  a ciascuno!
e ricordate che siamo tutti compagni di viaggio.
Il vostro Marco

Quando ci siamo conosciuti mi ha scritto: “Dio guida i nostri passi e ci porta sempre ad entrare in comunione l'uno con l'altro”.
Marco mi ha comunicato un sogno che aveva: “…donare luce ai cuori che sono in ombra, perché non conoscono il meraviglioso segreto di Dio Amore”.
Ad un gruppo di amici, che come lui conoscevano la spiritualità del focolare, scriveva un anno fa, facendo riferimento alla scelta di Gesù nel massimo dolore dell’abbandono in croce, come Chiara Lubich aveva fatto, e si firma Marco Amato, come Chiara lo chiamava:
...Dio amore ci parla attraverso il dolore che ci fa veramente sperimentare il nulla che si veste da sposa per dire il suo sì dell’anima. 
Sento di volerci credere sempre, come Chiara ha fatto prima di me: scegliere Gesù abbandonato come unico amore, questo ci fa provare il vivere nel vuoto di noi, ma riempiti di ciò che Qualcun altro ha voluto per noi...
Marco Amato

foto mia

mercoledì 13 ottobre 2010

Agli amici di questo blog


 
Carissimi,
alla fine di questo mese è un anno che Città Nuova mi ha aperto questa finestra, questo blog, che ci ha permesso di comunicare, di conoscerci, di farci domande e trovare insieme risposte.
Cosa significa per me questo blog?
Educazione all’ascolto e quindi a essere sveglio ad ogni segno che mi arriva.
Abolizione di piccoli o grandi steccati veri o immaginari.
Aumento di responsabilità verso ciascuno di voi, quindi impegno a stare al mio posto per poter essere ciò che chiedete.
I vostri commenti, anche quelli non pubblicati, arrivati come e-mail, sono una miniera, sono uno specchio limpido, che accende d’improvvisa luce i catarifrangenti che mi segnalano la strada da seguire.

Quale grazie dirvi? Uno... immenso!
Se avete da darmi qualche consiglio sul blog o se aveste qualche desiderio, qualche idea, domanda… sappiate che lo considero un dono. 
Così festeggiamo il primo anno del blog!
A ciascuno di voi: GRAZIE!
                                           Tanino


ecco chi è per me ciascuno di voi

domenica 10 ottobre 2010

Il sole del sole, il mare del mare

A proposito di Sul fondamento poetico del mondo di Giovanni Casoli, prefazione di Giovanni D’Alessandro, L’ora d’oro, Poschiavo, 2010
di Tanino Minuta


Casoli
Essendomi fatta l’idea che Giovanni Casoli è una miniera, ogni volta che lui pubblica qualcosa cerco di non perderla. Così, quando Andrea Paganini mi ha mandato una copia del libro Sul fondamento poetico del mondo, edito nella primavera di quest’anno nella collana da lui diretta presso “L’ora d’oro”, l’ho accolto con gioia e una certa attesa.
Sono soltanto un utente di letteratura, non un critico letterario, quindi mi sono accostato al libro, come ad altre opere. Man mano che leggevo mi sembrava di assistere a un fenomeno: non ero un lettore ma l’oggetto di un dono.
Certamente è presente l’autore, che con la sua destrezza e l’estesa ricchezza delle conoscenze talvolta fa pensare che sta proclamando un nuovo manifesto poetico o che stia distribuendo a un popolo di vinti un libretto d’istruzioni su come aprire gli occhi sulla vita. No, non è soltanto questo che le pagine consegnano: l’opera è una cengia dove aggrapparsi, una finestra aperta, è un percorso che ti conduce, secondo la citazione di Foscolo, all’armonia che “vince di mille secoli il silenzio” .
Mi son portato il libro in bus, dal dentista, in attesa di una conferenza, all’agenzia viaggi.
Perfino in ospedale! Ero lì perché le zanzare sopravvissute alla disinfestazione, per vendetta aggredivano senza pietà con il veleno che non le aveva uccise. Così il dermatologo aveva una lunga fila di vittime. In attesa del mio turno apro il “vademecum” di Casoli e lì, più che mai, il potere di una voce che mi convince che “poeticamente abita l’uomo su questa terra” come dice Hölderlin.
Circondato da gente in silenzio, con più o meno tristezza negli occhi, in un ambiente senza nessuna qualità estetica, leggo della “morte che fa vivere”. È come se l’autore mi accendesse la voglia di vedere oltre le apparenze, di vedere dentro le cose. Mi viene in mente Ermes Ronchi: “La vita più che etica è estetica, avanza per delle passioni non per delle ingiunzioni. E la passione sgorga da una bellezza, dall’aver intuito la bellezza di Dio”.
Quando l’infermiera mi avvisa che è arrivato il mio turno, mi rendo conto che la mia attesa è stata popolata da una meraviglia, un viaggio nel meraviglioso come definiva la letteratura il mio caro professor Angelo Maria Ripellino.  Lo sgomento, lo stupore poetico avevano scaldato e colorato il mio giorno di un sole nuovo. 
Casoli sa essere dono e fare un dono di ciò che vede. È capace di farti sentire l’armonia e di introdurti nella danza della vita.  E con lui arrivi a desiderare quello che lui vorrebbe come epigrafe: “Lasciami guardare, dopo aver chiuso gli occhi, il sole del sole, il mare del mare”.
Apparso anche su Città Nuova Online, 8 ottobre 2010

mercoledì 6 ottobre 2010

Un sarto straordinario

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In una città triste arrivò da lontano Sasà, un sarto che confezionava abiti su misura non solo secondo l’altezza, l’imponenza, la bassezza, ma secondo l’età e secondo il carattere delle persone. 
Un giorno si presentò in sartoria una mamma vanitosa con un bambino capriccioso.
Il sarto prese le misure, fece qualche domanda, stette cinque minuti in silenzio poi disse quanto sarebbero costati i cappotti.
Arrivò il giorno stabilito per ritirare i cappotti e la signora vanitosa con il figlio capriccioso andarono dal sarto ma c’era una tale fila che dovettero aspettare a lungo. La fama del sarto era talmente cresciuta che nessun cittadino voleva perdere l’occasione di un abito secondo il proprio carattere.
Quando arrivò il turno della signora, Sasà molto serio disse che nella confusione qualcuno aveva preso il suo cappotto pieno di nastri colorati e lustrini scintillanti, e che non era riuscito a trovare neppure quello del bambino.
Cerca e ricerca il sarto disse che c’era pronto il cappotto ordinato da una signora buona e semplice e addirittura ce n’era anche uno destinato a un bambino bene educato.
Siccome faceva freddo, la signora vanitosa disse che li prendeva, in attesa però di avere quelli che aveva ordinato.
Madre e figlio s’incamminarono dentro i cappotti nuovi. Ma, cosa veramente strana, lei per la prima volta si accorse che camminava senza voglia di attirare l’attenzione, mentre il bambino le stava vicino tranquillo e buono.
Nel viale della città a un certo punto la signora vide avvicinarsi una donna che camminava dentro qualcosa di scintillante, di vistoso e lei cominciò a ridere commiserandola: “Come si può portare un cappotto simile!”. Divenne di ghiaccio quando si accorse che quella donna portava il cappotto che aveva fatto confezionare per sé.
Quando il sarto si trasferì in un’altra città, la gente aveva capito: Sasà non era soltanto un sarto, ma uno che aiutava la gente a vedere i propri difetti. E la città divenne veramente bella.   
  
foto mia