sabato 26 marzo 2011

DALLA FEDE ALL'ESPERIENZA DI DIO

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Io, pur avendo una grande fede, sono nelle tenebre per un perdono che non riesco ancora ad accordare a mio marito. Una ferita tanto grande che dopo questi anni di matrimonio, è dolorosa e non mi dà pace. Tanto da pensare alla separazione. Poi guardo me allo specchio, i miei 3 figli ancora piccoli. E aspetto. Grazie per la sensibilità delle tue parole che animano il blog.
MD

Cara MD, 
pubblico il commento che hai lasciato in precedenza, perché tu non ti senta sola.
Il perdono è opera di Dio.
Quello che ti auguro è che tu riesca a perdonare e passare dalla fede in Dio all’esperienza di Dio.
Perdona e vedrai rinascere tuo marito. Il perdono ti darà una nuova libertà e un amore nuovo.
So che tanti lettori sono d’accordo con me e ti sono vicini come lo sono io.
Una schiera di persone tifa per te.
Ciao,
Tanino

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sabato 19 marzo 2011

LA GIUSTIZIA DI DIO


Avevo scritto a qualcuno una frase che la stessa persona poi mi ha consigliato di mettere nel blog: 













Soltanto il tuo perdono può consumare la tenebra, dentro e fuori di te. 

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martedì 15 marzo 2011

Il fiore più bello

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L’unica ricchezza di due genitori poveri era il figlioletto Riro e pregavano Dio che lo proteggesse e gli desse saggezza e felicità. Un giorno Lucia, una signora ricca, vedendo il bambino chiese alla madre se poteva portarlo qualche giorno con lei, nella sua grande casa, per fargli vedere tutte quelle cose che il bambino non aveva mai visto. La madre e il padre acconsentirono e il bambino seguì la signora.

Lucia cominciò a mostrare a Riro i fiori con le loro caratteristiche e quale malattia ogni fiore poteva curare. Alla fine gli disse:
-          Esiste un fiore che soltanto nel buio si apre. 
Il bambino cercava di fissare bene nella sua memoria tutto quello che vedeva per poterlo poi raccontare ai genitori.
La sera Riro decise di andare nel giardino in cerca del fiore raro. Il buio era fitto e il giardino era grande. Scomparvero anche le luci della casa.
Riro si trovò solo.
Ebbe una tale paura che dimenticò presto tutto quello che aveva visto. Perfino i fiori più belli avevano perso la loro bellezza. Tutto era diventato uguale e buio.
-          Nulla resiste al buio. Che bellezza è se il buio se la mangia?
Si sedette ai piedi di un grande albero. All’improvviso vide luccicare qualcosa. Erano delle lucciole che gli chiesero:
-          Perché piangi?
-          Sono venuto per vedere la bellezza e i colori dei fiori. Tutto è scomparso. 
Le lucciole dissero:
-          Noi non conosciamo i colori di cui parli. Viviamo al buio e per sprizzare la luce dobbiamo chiudere gli occhi.
-          Allora non conoscete la gioia dei colori? Chiese il bambino.
-          No, ma sappiamo che la nostra luce può aiutare gli altri a vedere e questo ci dà gioia.
La notte cominciò a spandere i suoi profumi.
Le lucciole lentamente accesero un fiore meraviglioso. Riro si stupì di tanta bellezza e maestosità.
In quel momento Riro sentì i passi di qualcuno. Era Lucia che si piegò verso di lui e gli chiese:
-          Sei felice?
-          Ho visto un fiore magnifico, un fiore che vince il buio e comunica felicità.
Intanto con l’arrivo dell’alba le lucciole, stanche e felici, ad una ad una si spensero e volarono via.
Riro ringraziò Lucia e corse verso casa.
Mentre papà e mamma lo abbracciavano felici, Riro continuava a ripetere.
-          Se io sono luce, l’altro può vedere.


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venerdì 11 marzo 2011

Il primo incontro con Chiara Lubich



In occasione del terzo anniversario della morte di Chiara Lubich, dietro richiesta di qualcuno dei lettori, racconto come è stato il mio primo incontro con lei. Era l’Epifania del 1967.




Nella hall dell’attuale centro del Movimento dei Focolari c’ero anch’io stipato tra molti che attendevano rumorosi e sorridenti. Improvvisamente il brusio diventa grido di gioia. Un corridoio si apre. Passa Chiara.
Vedo per la prima volta una donna amabile. Il suo sorriso vorrebbe raggiungere tutti. I suoi occhi sono pieni di luce. Cammina senza fretta con un passo posato ed elegante. “Ciao, popi! Ciao!” Dolcissimo appellativo trentino di una madre per i suoi figlioletti.
Quel sorriso, ma soprattutto lo sguardo, provocò in me una specie di timore, come quando da bambino mi ero trovato improvvisamente, inspiegabilmente solo. Dire sguardo è parola imprecisa. È come se lei guardandomi mi facesse capire che ci conoscevamo da sempre. Come se mi riconoscesse, come se mi avesse atteso. La limpidezza di quegli occhi mi rispecchiava. Non avevo nei ricordi nessun paragone per dire se quel fatto avveniva nel tempo, perché il tempo non ci fu. Quando si apre una finestra in una camera buia vedi ciò che prima non avresti potuto immaginare. Le cose tastate al buio ora hanno un volto, un colore, una funzione.
Quel momento fu un evento compiuto e chiuso. Eccomi già oltre un momento atteso senza saperlo. Quegli occhi avevano tracciato in me l’unico sentiero della mia vita, lo stesso sentiero che avevo percorso per arrivare fino a quel punto. Inizio e fine che mirabilmente, inspiegabilmente si fondevano.
Chiara era già andata avanti. Seguii i capelli d’argento che si confondevano con la folla facendo capire che stava salutando l’uno o l’altro. Quell’armonia appena intravista mi sembrò di colpo lontanissima e inspiegabilmente vicina. Il corridoio si era già chiuso dietro di lei e, spinto dalla folla, arrivo fino alla scala che portava nel suo appartemento al piano superiore. Dietro la porta, che si chiuse delicatamente, il canto non si fermò, ripetè più volte il ritornello: "Chi ringraziarti mamma potrà?, chi ringraziarti Chiara potrà?"
Cominciai a cantare anch’io.
  
Luce t’investe
ora so la bellezza
e scorgo la via
per raggiungerla


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giovedì 10 marzo 2011

Grazie a te!


Il mio amico Francesco scrive:

È l'8 marzo: Festa della donna.
Mi avvio verso il centro di Bellinzona per prendere dei fiori per mia moglie.
Mentre mi avvicino alla Coop vedo una giovane donna con in braccio un bambino piccolo.
Mi si avvicina ed implorando mi chiede dei soldi per il suo bambino.
Frugo in fretta nella tasca della giacca e tiro fuori alcune monete.
Lei ringrazia e, guardandomi negli occhi, mi dice: Grazie, grazie. Io povera. Io ungherese. Dare soldi per bambino. 
La guardo e fissandola negli occhi tiro fuori un bilgietto da 20 Frs e glielo do.
Intanto l'orologio, impietoso, mi indica che sto perdendo il bus e la donna mi chiede: Ma io voglio tornare in Ungheria. 
In tutta coscienza sento che non posso fare/dare di più.
Le dico: Mi scusi, ma devo proprio andare.
Ma una cosa la posso fare ancora: l'affido a Te perché pensi Tu a farle incontrare un'altra persona che possa aiuarla.
Mentre mi dirigo verso il bus, che sta arrivando, penso: Addio fiori, addio mimose.
Arrivato a casa squilla il telefono.
È Anna nostra figlia che tra le altre cose mi chiede: Hai preso le mimose per la mamma?
Ed io le racconto l'accaduto.
Nel frattempo arriva mia moglie, che deve aver sentito tutto, si avvicina e, dandomi un bacio, mi sussurra: Grazie di 'queste' mimose. 


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mercoledì 9 marzo 2011

Il tesoro vicino


Martin Buber racconta:  
Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam era solito raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel di Cracovia. Dopo anni e anni di dura miseria, che però non avevano scosso la sua fiducia in Dio, questi ricevette in sogno l'ordine di andare a Praga per cercare un tesoro sotto il ponte che conduce al palazzo reale. Quando il sogno si ripetè per la terza volta, Eisik si mise in cammino e raggiunse a piedi Praga. Ma il ponte era sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare nel luogo indicato. Tuttavia tornava al ponte tutte le mattine, girandovi attorno fino a sera. Alla fine il capitano delle guardie, che aveva notato il suo andirivieni, gli si avvicinò e gli chiese amichevolmente se avesse perso qualcosa o se aspettasse qualcuno. Eisik gli raccontò il sogno che lo aveva spinto fin li dal suo lontano paese. Il capitano scoppiò a ridere: "E tu, poveraccio, per dar retta a un sogno sei venuto fin qui a piedi? Ah, ah, ah! Stai fresco a fidarti dei sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi in cammino per obbedire a un sogno e andare fino a Cracovia, in casa di un ebreo, un certo Eisik, figlio di Jekel, per cercare un tesoro sotto la stufa! Eisik, figlio di Jekel, ma scherzi? Mi vedo proprio a entrare e mettere a soqquadro tutte le case in una città in cui metà degli ebrei si chiamano Eisik e l'altra metà Jekel!". E rise nuovamente. Eisik lo salutò, tornò a casa sua e dissotterrò il tesoro con il quale costruì la sinagoga intitolata "Scuola di Reb Eisik, figlio di Reb Jekel". "Ricordati bene di questa storia - aggiungeva allora Rabbi Bunam - e cogli il messaggio che ti rivolge: c'è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste un luogo in cui la puoi trovare".


da:
Martin Buber, IL CAMMINO DELL'UOMO, Edizioni Qiqajon
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sabato 5 marzo 2011

Juraj, il muratore

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Viene da un piccolo villaggio slovacco e cerca lavoro dove può, fuori dal suo Paese. Oggi è qui per dirmi che va in Germania.
Una persona così onesta meriterebbe di più, ma Juraj è abituato al sacrificio. Il padre alcolizzato da sempre, la madre ha sopportato miseria e botte facendo in modo che i figli ne risentissero il meno possibile. Ora lui lavora per sostenere due fratelli più piccoli, la madre, il padre e la nonna. E guadagna bene perché conosce il mestiere.
Mi chiedo e gli chiedo da dove prende questa forza, come mai non ha cominciato a bere anche lui.
Juraj mi dice che un giorno aveva chiesto alla madre perché non pensava al divorzio. La madre gli aveva risposto: “Figlio mio, se tu sei al mondo è perché c’è stato tanto amore con tuo padre. Poi le amicizie sbagliate, la mancanza di lavoro… tuo padre è buono. Non guardarlo per quello che appare. Mettiti davanti a lui senza attendere che sia quello che tu vorresti”. A quelle parole Juraj cambiò atteggiamento verso il padre e aiutò i fratelli a fare lo stesso. L’atmosfera in casa divenne più serena. Diminuirono le liti. 
Juraj mi mostra un santino che la madre gli ha messo nella tasca della giacca a vento. È l’Annunciazione e sotto c’è scritto: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1,38). Figlio mio, vai non a costruire case ma la pace. Sono orgogliosa di te! Tua madre”.

Foto di Rolland Kishonti

martedì 1 marzo 2011

Ali alla speranza: il mio diario di bordo

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il 27 Febbraio 2011   Città Nuova
ha pubblicato questi miei pensieri sul blog. E li partecipo anche a voi:   

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Tanino riflette, stupito, sull’esperienza appassionante e inattesa nata con il suo blog, strumento di fraternità nelle mani di un regista in… visibile
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Una lettrice del blog mi chiedeva come riesco a reggere a tanti rapporti. Me lo son chiesto anch’io nel vedere che nel giro di poco più di un anno il blog era diventato un vivo colloquio con molti. Quando Città Nuova mi propose l’apertura di un blog, non conoscendo la lingua dell’informatica, non capivo cosa mi stessero chiedendo. Poste le mie domande, vengo a sapere che è un modo di comunicare, una specie di diario di bordo da condividere con altri e che il mio impegno sarebbe stato di inserire periodicamente quei fatti di vita vissuta che già raccontavo nella rivista Città Nuova.

Questa la partenza. Non avevo previsto gli interlocutori che presto si son fatti avanti “costringendomi” a prendere un ritmo, ad assicurare continuità, a creare delle rubriche, a rispondere alle loro domande. E questo, più che un impegno, è come aprire una finestra all’infinito e, nella purezza dell’aria, guardare lontano e vedere che i sogni prendono forma e colore.  

Per ogni esperienza che pubblico ne ricevo tante come risposta. Da quando ho inserito anche l’indirizzo e-mail, molti mi scrivono direttamente. Ed è appassionante vedere che la mia vita aiuta altri a scoprire di aver vissuto momenti simili ai miei. Magari con esiti diversi.

Ho capito così la natura del dono che mi era stato offerto: diventare anch’io, con il mio piccolo contributo, strumento di comunicazione, di fraternità. Se il blog servisse soltanto a far aprire il rubinetto della memoria per farla diventare dono, sarebbe già un bel risultato.  

I visitatori diventano propagatori. Qualcuno è entrato nel blog per caso, come è capitato a una scrittrice che, leggendo una brevissima storia di una donna vissuta tra i Monti Sudeti, mi scrive che è molto interessata al personaggio e mi chiede ulteriori notizie. Mi fa sapere in seguito che è intenzionata a scriverne un libro e considera questo nostro incontro una “casualità straordinaria”. Casualità straordinaria?  

Per presentare il blog avevo scritto «Ho sempre creduto che nella mia esistenza ci sia un regista invisibile. La vita mi ha convinto che lui mi conosce come nessun altro. Quando seguo le sue indicazioni mi ritrovo con le idee più chiare, sperimento la libertà. Ascoltarlo è la mia occasione!».

Qualcuno vuole sapere perché affermo che il regista è in…visibile. È stata un’esigenza di Città Nuova Online che aveva già iniziato la serie dei blog con In viaggio, In dialogo, In famiglia. C’era poco da fare, ero con le spalle al muro. Un lampo di luce mi fece capire che la bellezza della mia esperienza e del mio comunicare stava proprio nella scoperta di un “regista” che mi organizza la vita. Allora fu chiaro il senso del mio blog: ho un regista, ma è in… visibile.

E vedo che il blog è azionato dal “regista” anche in certe pagine che mi sembrano soltanto riempitive. Sono sorpreso non tanto dello strumento che crea fraternità, ma di scoprire quanta “fraternità” esista già. Certo le notizie che ammorbano l’aria sembrano assolute e prendono la veste di verità, di conoscenza, di maturità. Ma il blog ha dato ali alla mia speranza: esiste un mondo che costruisce in silenzio il futuro, il futuro che resta, non i rumori di scarto, gli scintillii della vanità.

Una significativa quantità di commenti e approvazioni mi è arrivata quando ho scritto che «Felicità è … vivere per la felicità degli altri». Ad una mia affermazione che l’equilibrio del mondo dipende dalle persone che pregano, un lettore mi lascia il commento: «O stai proclamando una verità oppure devo cambiare alcune rotelle nella mia testa. Non è la prima volta che passo per il tuo blog e vedo che c'è da stare attenti». E un’altra aggiunge: «Anch'io penso che c'è da stare attenti al tuo blog: spesso è il pit stop delle mie rotelle!!!».

Nell’era della memoria informatica, ora che la comunione ha preso un ritmo veloce, penso che ogni elemento che costruisce dialogo sia necessario per aiutare l’umanità a riconoscersi famiglia.

Foto mia